Cenni storici di Viù
(a cura di Claudio Santacroce)

Ciottolo inciso con figura solare
e figura antropomorfa a “phi”

La vicenda del popolamento della Valle di Viù ha origine fin dalla preistoria quando le Alpi occidentali erano già abitate da genti di stirpe ligure alle quali, intorno al VI-V sec. a.C., si sovrapposero popolazioni celtiche, giunte d’oltralpe. Dalla fusione di queste genti si formarono diverse tribù celto-liguri che, per quando riguarda la Valle di Viù, vengono individuate nei Garoceli o Graioceli.

Testimonianze del primitivo popolamento della valle sono alcune pietre lavorate di età eneolitica, ritrovate durante gli scavi effettuati, intorno al 1920, presso i ruderi del castello di Viù, posti sul poggio che sovrasta la frazione Versino, e varie incisioni rupestri e coppelle, per altro di sempre difficile datazione, scoperte in numerosi siti, soprattutto in alta valle.

Successivamente la Valle di Viù fu frequentata dai Romani, che di qui transitavano per raggiungere la Gallia, attraverso i passi dell’Autaret e dell’Arnas, sopra Usseglio.

Per l’Autaret, alcuni storici ipotizzarono che fosse passato nel 218 a.C. Annibale col suo esercito e gli elefanti diretto alla volta di Roma, nel corso della II Guerra Punica.

Attestano la presenza romana le are dedicate a Giove e ad Ercole rinvenute e conservate ad Usseglio, le monete ritrovate negli scavi del Versino e vari nomi di luogo, tra cui quello di Viù che deriva dal latino Vicus, nel significato di villaggio, o di via, o di passaggio, a seconda delle interpretazioni fornite dagli studiosi.

Al tempo di Giulio Cesare, la Valle di Viù fece parte del regno di Cozio, suo alleato e signore della Valle di Susa e dei territori confinanti. Nel 66 d.C., essendo imperatore Nerone, le terre di questo re furono inglobate nell’impero e governate come provincia.

La caduta dell’Impero Romano e le invasioni barbariche interessarono solo marginalmente la Valle di Viù. Goti, Burgundi, Franchi, Longobardi preferivano transitare per le Valli di Susa e di Aosta, dotate di più comodi valichi transalpini.

Nel 576, avendo i Franchi ottenuto la supremazia sulle altre genti, le Valli di Lanzo, che nei tempi antichi erano chiamate Valli di Mathi, entrarono a far parte dei possedimenti di Gontrano, re di Borgogna. Questi, nel Concilio Ecumenico di Chalon, fece staccare le Valli di Lanzo dalla diocesi di Torino per unirle a quella di San Giovanni di Moriana in Savoia.

Tale situazione durò per circa due secoli, cioè fino a quando Carlo Magno, re dei Franchi, sconfisse nel 773 i Longobardi alle Chiuse in Valle di Susa, e se ne annesse il regno, venendo in seguito incoronato imperatore del Sacro Romano Impero. Carlo Magno provvide, tra l’altro, a riaggregare le Valli di Lanzo alla diocesi ed alla contea di Torino.

 

 



Adelaide, figlia di Olderico Manfredi




Oddone di Savoia

In seguito all’estinzione della dinastia carolingia, verso la fine del IX sec., si ebbero per alcuni secoli lunghe lotte tra i vari feudatari dell’Impero per la conquista di terre ed autorità. Tra essi meritano di essere ricordati Olderico Manfredi, conte di Torino e poi marchese d’Italia, ed Adelaide, sua figlia ed erede. Adelaide nel 1046 sposò in terze nozze Oddone, figlio di Umberto Biancamano, capostipite di Casa Savoia, al quale trasmise il titolo di “marchese in Italia”: con lui i Savoia comparvero per la prima volta nella storia delle Valli di Lanzo.

In questo periodo fu molto attiva la politica dei vescovi di Torino che, grazie alle concessioni ed ai privilegi loro accordati da imperatori e grandi feudatari, avevano notevolmente accresciuto il loro potere temporale tanto da assumere le prerogative di conti (sec. XII). I vescovi-conti diedero impulso alla pastorizia ed all’agricoltura delle Valli di Lanzo cedendo le proprie terre in enfiteusi ai monasteri e in feudo a vari signori.

La prima citazione conosciuta di Viù si trova appunto in una di queste concessioni. Si tratta di un atto del vescovo di Torino Landolfo che, nel 1011, confermava le donazioni fatte nelle Valli di Lanzo dal suo predecessore Gezone al monastero di San Solutore in Torino, fra le quali la chiesa di San Martino di Viù con tutti i suoi fondi “... in vico ecclessiam sancti Martini cum manso integro”.Nello stesso documento era anche citata la chiesa del Col San Giovanni, con le villule circostanti Bertenseno, Nucujdai (Niquidetto), Rascacego (Richiaglio), e il collo di Lidone (Lis).

Nel 1159 vi fu invece la prima investitura, di cui si ha notizia, del feudo di Viù a favore dei visconti di Baratonia. Questi tennero il feudo integro fino al 1333 quando ne vendettero la quarta parte e poi nel 1335 altre due parti alla famiglia Giusti di Susa. A loro volta i Giusti cedettero nel 1350 i loro 3/4 ai Provana di Carignano e Leinì.

 

Intanto nella prima metà del 1300 si ebbe il definitivo ritorno di Casa Savoia nelle vicende delle Valli di Lanzo. Per quanto riguarda in particolare Viù, in base agli accordi del 1313, circa la pertinenza delle terre loro soggette, tra Amedeo V, conte di Savoia, e Filippo, principe d’Acaia, fu assegnata agli Acaia.Nel 1341 il conte Aimone di Savoia, per rafforzare la sua posizione nelle valli, acquistò, tra l’altro, anche tutti i diritti che il monastero di Santa Maria di Pulcherada in San Mauro aveva su Viù e con tale atto i Savoia ebbero per la prima volta pertinenze su Viù, che divennero definitive nel 1345 quando il principe d’Acaia rinunciò ai suoi diritti in favore di Amedeo VI di Savoia, il Conte Verde. Da allora Viù fece sempre parte dei possessi di Casa Savoia che la governavano tramite feudatari da essa direttamente dipendenti. Viù, così come Lemie e Usseglio, non fece quindi mai parte della Castellania di Lanzo, comprendente il resto delle Valli di Lanzo. Nel 1465, la quarta parte del feudo di Viù che era rimasta ai Baratonia passò per via ereditaria alla famiglia Arcour.

Gravi fatti coinvolsero l’Italia all’inizio del 1500 nell’ambito della lotta per la supremazia europea tra la Francia e l’Impero. Il Piemonte venne occupato dagli eserciti francesi. Nel 1538 anche la Valle di Viù cadde nelle loro mani e qualche anno più tardi il resto delle Valli di Lanzo. Dopo la pace di Crepy del 1544 i francesi sgomberarono le Valli ma, dopo alcuni anni, essendo ripresa la guerra, le rioccuparono e, verso la fine del 1551, le truppe comandate dal maresciallo Brissac presero il castello di Lanzo e, poco dopo, il castello di Viù al Versino, difeso sembra da Freilino Provana, che fu poi demolito dagli uomini del capitano Ione di Rivoli.

 

Il Castello di Viù (ricostruzione)

Andrea Provana di Leynì

 

Nel periodo dell’occupazione francese era consignore di Viù il conte Andrea Provana di Leinì, consigliere e principale collaboratore del duca Emanuele Filiberto nell’opera di ricostruzione dello stato sabaudo dopo la pace di Cateau Cambresis (1559) che, ponendo fine alla guerra tra Francia ed Impero, aveva anche restituito ai Savoia i loro antichi possessi.

Andrea Provana è soprattutto ricordato per essere stato l’ammiraglio delle tre galere sabaude che, insieme alla flotta della lega cristiana, parteciparono vittoriosamente alla battaglia di Lepanto (1571) la più grande battaglia navale dell’antichità, che pose fine all’avanzata dei Turchi nel mar Mediterraneo.

Emanuele Filiberto

Carlo Emanuele II

In quei tempi la Valle di Viù era ancora in gran parte ricoperta di boschi e foreste, in cui vivevano orsi, lupi, linci, cinghiali, cervi ed altra selvaggina la cui caccia fu per secoli riservata ai duchi di Savoia. La zonapreferita per la caccia all’orso era la Valle Orsera sopra Forno di Lemie, verso il Colombardo. Si ha notizia delle battute di Emanuele Filiberto nel 1575 e di Carlo Emanuele II nel 1660. In occasione di tali cacce, la tradizione vuole che i duchi soggiornassero a casa Coatto al Versino.

Nel 1610 venne istituita a Viù una tappa (ufficio) dell’Insinuazione, cioè di quello che in seguito fu chiamato Ufficio del Registro. Rimase in funzione fino all’occupazione francese all’inizio dell’800.

Nel 1633 il feudo di Viù fu unificato da Ottavio Provana il quale, avendo acquistato dagli Arcour la mancante quarta parte del feudo, fu nominato, il 6 maggio 1634 a Torino, primo conte di Viù dal duca Vittorio Amedeo I.

In seguito alla sua morte senza eredi, il feudo subì varie vicissitudini e passò dapprima ai Birago di Vische, poi ai Della Rovere di Bestagno, quindi ancora ai Provana e, tra il 1700 e l’inizio del 1800, ai Verolfo di Boschetto.

Massimo D'Azeglio

 

Cesare Balbo

Verso fine 1600-inizio 1700 a causa dell’aumento della popolazione e delle scarse risorse fornite dall’economia locale (agricoltura, zootecnia, miniere, lavorazione del ferro e del legno) iniziò una sempre più ampia emigrazione, dapprima stagionale, in seguito definitiva, verso Torino, la pianura, l’estero. A Torino i viucesi erano impiegati a corte o presso grandi casate, dove esercitavano i mestieri di domestico, portantino, cuoco, brentatore, staffiere, cocchiere mentre le donne divennero famose come balie “le baile da sent lire”, per la paga che ricevevano. Nel 1800, due importanti personaggi del Risorgimento, Massimo d’Azeglio e Cesare Balbo, ricordarono nei loro scritti con grande stima i loro fedeli servitori di Viù.

Nel 1782 fu completata la chiesa parrocchiale dedicata ai SS. Martino e Biagio.

La Rivoluzione Francese ebbe la sua eco nelle Valli di Lanzo ed in molti paesi s’innalzarono gli alberi della libertà. Poi, durante la breve restaurazione, Lanzo fu occupata da truppe austro-russe che nel 1799-1800 ebbero anche un avamposto alla frazione Maddalene. Ritornati di nuovo i francesi, Viù fece parte per alcuni mesi dell’arrondissement (circondario) di Lanzo, e quindi del cantone di Lanzo. Durante tale periodo venne istituita la guardia nazionale, con compiti di polizia urbana, e molti valligiani furono arruolati nelle armate francesi.


Casipole in Viù, litografia di Guido Gonin (1855)

 

Contadine di Viù,
incisione di Gallo Gallina (1834)


Viù: chiesa parrocchiale

Il ponte Barolo sulla Stura di Viù

Dopo la restaurazione dei Savoia, ripresero le normali attività ed a Viù, assurta nel 1818 a capo del mandamento comprendente tutta l’omonima valle (fino all’abolizione del 1927), iniziò a svilupparsi il turismo divenendo la prima sede di villeggiatura della nobiltà torinese. Tra i suoi illustri ospiti vi furono, nell’800, Massimo d’Azeglio, Silvio Pellico, Vincenzo Gioberti, Davide Bertolotti, il barone Raimondo Franchetti, Michele Lessona,e probabilmente Giulia e Tancredi Falletti marchesi di Barolo, nel ‘900, Guido Gozzano, Benedetto Croce, Pietro Canonica, Alberto Franchetti.

Grazie all’interessamento ed ai prestiti dei marchesi di Barolo, Viù ebbe, primo comune delle valli, una strada carrozzabile che la unì a Lanzo fin dal 1842. I collegamenti avvenivano inizialmente con omnibus a cavalli e, dal 1910, con autovetture in coincidenza con la ferrovia Torino-Lanzo (poi Ceres).

 

Col censimento del 1857 Viù raggiunse il massimo della popolazione contando 3954 abitanti cui andavano aggiunti i 1440 di Col San Giovanni, allora comune indipendente, per un totale di 5394 abitanti.

Tra gli avvenimenti del 1900 sono da ricordare: l’elezione a deputato del viucese avv. Giovanni Rastelli nel 1904 e poi per altre due legislature; l’aggregazione del comune di Col San Giovanni a quello di Viù nel 1927; la visita del Principe di Piemonte S.A.R. Umberto di Savoia in occasione delle manovre militari nel 1930; la guerra partigiana (1943-45) che vide occupazioni e rastrellamenti da parte di truppe tedesche e della Repubblica Sociale con combattimenti, distruzioni, eccidi in tutte le valli e che è ricordata dal monumento al Colle del Lis (1955).

Dopo la II Guerra Mondiale vi è stato un ulteriore incremento dell’emigrazione verso Torino ed il suo hinterland con conseguente progressiva riduzione dell’attività agricola e zootecnica, mentre il turismo non interessò solo più il periodo estivo ma anche quello invernale con l’apertura delle sciovie del Colle del Lys (1961) e dell’Alpe Bianca (1979) e dei fine settimana. Gravi danni al territorio ed alle infrastrutture furono causate dall’alluvione dell’ottobre 2000.

L’avvocato Giovanni Rastelli

Umberto, Principe di Piemonte, a villa Franchetti con il conte Luigi Cibrario nipote e la baronessa Bianca Rocca Franchetti
(9 agosto 1930)

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