Il 25 marzo, a Viù, festa della “Nunsià” (Annunciazione), dalla chiesa parrocchiale andavano in processione fino alla cappella del Castello dove assistevano alla messa. Dopo la messa, le due Priore, una del Versino e una di Viù centro, scendevano in Viù a distribuire “lo pän dla ciarità” (il pane della carità); dopo pranzo si teneva “l’incant” (messa all’asta) degli oggetti offerti.
Alla sera facevano l’illuminazione nelle case con conchiglie piene d’olio di noci poste sui balconi e sui davanzali delle finestre; sul piazzale della cappella accendevano “lo farò” (il falò) a cui seguiva l’accensione di altri falò in ogni frazione della valle. I bambini intorno al falò agitavano “li vantrel” che erano cortecce di ciliegio secche infilate in un filo di ferro, poi accese e fatte roteare.
La tradizione di accendere il falò dell’Annunziata, tuttora rispettata, trova la sua spiegazione nella leggenda dei briganti del Castello di Viù. Questa è la versione che ho raccolto e pubblicato nel libro “
Favole e leggende della Valle di Viù” (Torino, 1977).
Il Castello
C’era una volta un castello là sopra al Versino dove ora c’è la Cappella dell’Annunziata.
Ed è arrivato un momento che i signori non c’erano più e al posto c’erano i briganti. E la gente aveva una paura della forca perché i briganti qui di notte scendevano giù al Versino e prendevano tutto ciò che potevano: soldi, roba, bestie.
E tutti quelli che passavano di là vicino al castello li uccidevano e più nessuno passava di là, per andare ai Tornetti facevano il giro del Poé ma dal castello non passavano più. E dopo i briganti si chiudevano dentro al castello e mangiavano, bevevano, cantavano.
Ma una notte un grande fuoco ha bruciato tutto e i briganti che dormivano ubriachi non hanno potuto scappare e sono morti tutti.
È per questo che la notte dell’Annunziata di fianco alla cappella del Castello si accende il falò con i “vantrel” (palle di corteccia di ciliegio sospesi ad un lungo filo di ferro che si fanno ruotare) accesi e dopo vi sono anche altri falò in tutte le frazioni e dei lumini alle finestre delle case: è perché la Madre di Nostro Signore una volta ha aiutato i nostri vecchi ed ha bruciato i briganti.
Questa leggenda di Viù è stata riportata anche nei libri degli storici fratelli Milone e della scrittrice Maria Savj-Lopez.
Trova riscontro in precisi fatti storici. Gravi fatti coinvolsero l’Italia all’inizio del 1500 nell’ambito della lotta per la supremazia europea tra la Francia e l’Impero. Il Piemonte venne occupato dagli eserciti francesi. Nel 1538 anche la Valle di Viù cadde nelle loro mani e qualche anno più tardi il resto delle Valli di Lanzo. Dopo la pace di Crepy del 1544 i francesi sgomberarono le Valli ma, dopo alcuni anni, essendo ripresa la guerra, le rioccuparono e, verso la fine del 1551, le truppe comandate dal maresciallo Brissac presero il castello di Lanzo e, poco dopo, il castello di Viù al Versino, difeso sembra da Freilino Provana, che fu poi demolito dagli uomini del capitano Ione di Rivoli (cfr. Cibrario).
Questo periodo storico fa da sfondo alle vicende di fantasia narrate da Padre Fulgenzio Del Piano nel suo libro “Vent’anni di martirio, romanzo storico del Piemonte antico (sec. XVI)” (Torino, 1931), ambientato nella Valle di Viù all’epoca della presa del castello di Lanzo (1551) da parte dei Francesi.