È noto che molti uomini della frazione Maddalene di Viù lavoravano a Torino come personale d’albergo e come facchini, sia in alberghi che presso imprese di trasporti e di traslochi. Chi faceva fortuna, talvolta, poteva mettersi in proprio.
Il mestiere di facchino era una tradizione consolidata, ricordata anche da una delle molte guide turistiche dedicate alle Valli di Lanzo, tra il finire dell’Ottocento e i primi del Novecento: quella di C. Ratti “Da Torino a Lanzo e per le (tre) Valli della Stura. Guida descrittiva, storica e industriale (per il villeggiante e l’alpinista)” (Torino, 1893).
Molto meno noto è il fatto che i facchini torinesi, fra i quali lavoravano appunto quelli provenienti da Viù, sono stati studiati da Cesare Lombroso (Verona, 1835 - Torino, 1909) professore di medicina legale nell’Università di Torino e pioniere nello studio della criminalità.
Nel caso dei facchini, però, la criminologia non c’entrava affatto.
Lombroso aveva iniziato a studiare nei facchini i loro “segni professionali” cioè le lesioni provocate dal loro lavoro in particolari punti del corpo: ispessimento e callosità della pelle della schiena, curvatura della schiena, modificazioni delle ossa vertebrali per l’azione continuata dei pesi portati e altre lesioni di questo genere. Uno studio benemerito, oggi definibile di “medicina del lavoro”, che però avrebbe portato il professor Lombroso a conclusioni perlomeno bizzarre e stravaganti.
Ma procediamo con ordine.
Nel 1879, Lombroso pubblica le sue ricerche sul “Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino”, prestigiosa istituzione scientifica con sede in via Po. Scrive che, con la partecipazione del dottor Filippo Cougnet, suo collaboratore nel Laboratorio di medicina legale e psichiatria sperimentale dell’Università di Torino, ha studiato i “segni professionali” in 20 facchini del porto di Genova (camalli) ed in 75 facchini e 36 brentatori torinesi.
Dei 75 facchini, 7 sono descritti come nativi di Viù (il numero iniziale è quello dell’elenco esposto nello studio lombrosiano):
45. P. Achille, anni 21 - da 8 anni facchino. Viù. Pesa 70 k.
46. P. Angelo, anni 29 - da 10 ani facchino. Viù. Pesa 65 k.
48. D. Paolo, anni 34 - da 12 anni facchino. Viù. Pesa 60 k.
49. P. Camillo, anni 19 - da 2 anni facchino. Viù.
50. B. Giovanni, anni 40. Viù.
52. A. Bastiano, anni 46. Viù.
58. Casalegno Michele, d’anni 26, facchino. Viù.
A questi aggiungiamo, come originario delle Valli di Lanzo:
59. Francesia Giacomo di Ceres - brentatore, d’anni 40 (inserito fra i facchini, non sappiamo perché).
Lombroso e Cougnet avevano poi esaminato anche “36 robusti brentatori”, ma di questi non ci forniscono indicazioni circa la loro provenienza. Peccato, perché sappiamo che anche molti brentatori provenivano da Viù.
Fin qui, nulla di particolare: sono corrette osservazioni inerenti la “medicina del lavoro”, utili per la prevenzione o, almeno, la limitazione di queste lesioni in altri lavoratori.
Ma nel loro lavoro, che dedicavano “a Carlo Darwin”, Lombroso e Cougnet andavano molto, troppo, oltre. Avevano osservato che in sei facchini torinesi, oltre alle lesioni prima descritte, erano presenti dei lipomi, cioè degli anomali ammassi di grasso al di sotto della pelle della schiena; in un caso questi lipomi erano numerosi.